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Un paese nel fango

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Mio padre ha fatto l'operaio per quarant'anni. Da bambino lo vedevo indossare quella tuta blu e le scarpe pesanti, un berretto, durante l'inverno, ci salutava con un “ci vediamo più tardi”. Il “più tardi”, spesso, era il giorno dopo perché, pur di guadagnare di più, faceva le notti. Ho pensato a lui, a noi, a mia madre che faceva i conti e guardava le cose che costavano di meno, oppure ai soldi che ogni mese portava alla bottega per saldare il conto di qualcosa che aveva comprato per noi figli. Le operaie e gli operai della FIAT hanno dimostrato coraggio e dignità. Hanno vinto i sì, nessuno si aspettava il contrario. Del resto questo era un ricatto, non si può parlare di referendum o di libero voto. Marchionne si è comportato come un autocrate, lo ha fatto con l'approvazione del governo e di molti uomini di “sinistra” a partire da Chiamparino. Ha potuto farlo perché sa che ormai l'Italia è un paese ricattabile, con una classe politica attenta solo a idolatrare il proprio padrone, che spreca tutte le proprie forze per salvare un piccolo uomo da processi e accuse di ogni genere.
Marchionne ha segnato l'inizio della fine per i diritti dei lavoratori. Diritti già seriamente provati e messi in pericolo dalla cattiva gestione del bene pubblico e del paese. Ora ci rimane davvero poco, una scuola e un'università a pezzi, un precariato che è diventato normalità nei rapporti di lavoro, la cultura abbandonata a se stessa e un nuovo schiavismo in cui le lavoratrici e i lavoratori sono ridotti ad automi che servono solo a produrre. A quei sindacati che festeggiano per la vittoria del sì vorrei dire che non hanno proprio niente da festeggiare, che ci hanno ridotti sull'orlo del precipizio, riportati indietro di quarant'anni. Oggi, mentre il despota Marchionne ha fatto di questo paese un paese del terzo mondo, TV e giornali parlano ancora di Berlusconi e delle sue avventure sessuali. È la dimostrazione che ormai, questo paese, è nel fango.
Ci vorranno decenni per uscirne.
Marino Buzzi


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